SALOME – Teatro dell’Opera di Roma

SALOME

 

Dal 7 al 16 Marzo il Teatro dell’Opera di Roma presenta Salome di Richard Strauss, direttore Marc Albrecht, regia di Barrie Kosky, con:

Erode (Tenore) John Daszak
Erodiade (Mezzosoprano) Katarina Dalayman
Salome (Soprano) Lise Lindstrom
Jochanaan (Baritono) Nicholas Brownlee
Narraboth (Tenore) Joel Prieto
Un paggio di Erodiade (Contralto) Karina Kherunts
Primo ebreo Michael J. Scott
Secondo ebreo Christopher Lemmings
Terzo ebreo Marcello Nardis
Quarto ebreo Eduardo Niave
Quinto ebreo / Secondo soldato Edwin Kaye
Primo Nazareno / Primo soldato Zachary Altman
Secondo Nazareno Nicola Straniero
Un uomo di Cappadocia Daniele Massimi
Uno schiavo Giuseppe Ruggiero


Nonostante le difficoltà che il ruolo della protagonista comporta, Salome è senza dubbio una delle opere più popolari di Richard Strauss. Al soprano non è solo richiesta una grande voce, ma anche una certa prestanza fisica, in particolare nella celebre “danza dei sette veli”. Sono molte le soluzioni generalmente adottate per agevolare l’interprete nell’arduo compito di esibirsi nel doppio ruolo di cantante e ballerina, dall’uso di “controfigure” alla semplificazione estrema dei passi di danza, fino alla eliminazione del balletto vero e proprio sostituito in questo caso da pantomime più o meno attinenti alla storia. In questa versione la regia ha risolto il problema con una idea piuttosto originale, della quale parleremo in seguito.

Ma andiamo con ordine: in un’opera di Strauss è decisamente l’orchestra che ha il compito di definire i personaggi e le loro emozioni. Il direttore Marc Albrecht opta per la scelta di contenere per quanto possibile il volume sonoro, prediligendo dunque la chiarezza analitica e il dettaglio. Uno dei motivi di questa scelta, come spiega lo stesso direttore, è quello di “aiutare” i cantanti le cui voci altrimenti verrebbero inevitabilmente sopraffatte da un’orchestra che conta più di cento elementi. Sebbene di gran moda (si pensi alle recenti versioni con orchestra da camera delle sinfonie di Beethoven), l’idea di rendere la Salome un prodotto del tutto “cameristico” francamente non convince, e solo in alcuni momenti abbiamo riconosciuto lo Strauss più autentico. Tra questi ricordiamo le celebri danze e lo splendido finale (“Allein was tut’s?”).

Salome
Salome. Joel Prieto (Narraboth), Nicholas Brownlee (Jochanaan), Lise Lindstrom (Salome). ph Fabrizio Sansoni-Teatro dell_Opera di Roma 2024

Sul fronte vocale spicca naturalmente la protagonista Lise Lindstrom. Il soprano americano è evidentemente a suo agio nel ruolo, e sebbene non sia dotata di voce estremamente potente, ha presentato una Salome di sicuro valore. Particolarmente apprezzabile il suo lungo monologo finale, ben sostenuta da un’orchestra che come già detto l’ha accompagnata senza sovrastarla, contenendo entro certi limiti gli slanci sonori.

Ottimo anche il Jochanaan di Nicholas Brownlee. La voce profonda e al contempo calda del basso-baritono si è diffusa per l’intero teatro anche quando i suoi interventi erano effettuati fuori scena.

Il tenore inglese John Daszak si è prodigato nel ruolo di Erode sia sul piano vocale che quello recitativo, e al netto di qualche difficoltà in alcuni acuti la sua prestazione è risultata più che soddisfacente. Validi anche il Narraboth del tenore Joel Prieto e il paggio del mezzosoprano Karina Kherunts, personaggi che avremmo voluto più presenti sul palcoscenico, ma che hanno avuto purtroppo la visibilità di fugaci apparizioni. Buoni infine anche i diversi comprimari nei loro brevi interventi, anch’essi quasi completamente nascosti al pubblico.

Salome
Salome. John Daszak (Erode), Katarina Dalayman (Erodiade), Lise Lindström (Salome). ph Fabrizio Sansoni-Teatro dell_Opera di Roma 2024

Veniamo quindi all’aspetto più critico della rappresentazione, ovvero le scelte infelici del regista Barrie Kosky, coadiuvato da Katrin Lea Tag (scene(?) e costumi), Joachim Klein (luci) e Zsolt Horpácsy (drammaturgia). In realtà risulta davvero difficile in questo caso parlare di “messa in scena”, visto che quest’ultima è rimasta completamente nera per tutto lo spettacolo. Gli interventi dei cantanti erano illuminati letteralmente da fasci di luce intensissimi, ma limitati alla figura umana (e a volte solo a una parte di essa). Tali fasci dunque si muovevano di continuo seguendo i vari personaggi, oppure (come per Narraboth e il paggio) venivano spenti appena concluso l’intervento vocale, rendendo quindi effimera la presenza del cantante sul palco. Per questi intensi giochi di luci bisogna dare atto ai tecnici (più che al responsabile) di aver svolto un lavoro decisamente faticosissimo. Peccato che il risultato sia stato più che altro di fastidio visivo, tanto più se si pensa che alcuni dei vestiti di Salome erano dotati di numerosi brillantini riflettenti (anonimi o addirittura neri invece i costumi degli altri personaggi). In questo contesto di totale assenza di qualsiasi elemento scenico, va detto che i cantanti hanno fatto del loro meglio per interpretare i loro ruoli, non riuscendo in alcuni casi ovviamente ad evitare il ridicolo. Giusto per fare un esempio, nessuno ha portato vino o frutta al povero Erode, che è stato quindi costretto ad arrangiarsi come poteva con la sola mimica.

 

Salome
Salome. Lise Lindstrom (Salome), John Daszak (Erode). ph Fabrizio Sansoni-Teatro dell_Opera di Roma 2024

E veniamo al punto critico, il momento più rappresentativo e forse più atteso dell’opera: la danza dei sette veli. Come anticipato, il regista ha adottato una soluzione decisamente originale: tra la possibile controfigura, la danza accennata o la pantomima, ha scelto… l’immobilismo! Abbiamo visto infatti Salome sedersi a terra, gambe divaricate, intenta ad estrarre dal pavimento… dei capelli! La presunta danzatrice ha proseguito imperterrita questa operazione per tutta la durata della danza (quasi dieci minuti!), fino a quando la matassa di capelli non l’ha quasi seppellita. Estasiato da tale visione, Erode si è così cinto al collo una specie di ghirlanda fatta con queste lunghissime ciocche, (probabilmente appartenenti al profeta Jochanaan). Trovate registiche “bizzarre” sono state in realtà seminate lungo il corso dell’intera opera, e per dovere di cronaca dobbiamo almeno ricordare i cinque nazareni vestiti da “fantasmi” (o comunque con una tunica e un cappuccio stile “Ku Klux Klan”), e il lungo preambolo che ha preceduto l’inizio. In quest’ultimo caso, il rumore di un forte battito d’ali ha circondato ripetutamente l’intera platea, mentre sul palco Salome andava verosimilmente a caccia di farfalle. L’intera scena è così proseguita per cinque minuti abbondanti, in assenza totale di musica. Per illustrare e forse spiegare queste e altre idee, il regista Kosky ha pensato bene di scrivere un lungo programma di sala e di rilasciare per buona misura anche una intervista. Queste informazioni non richieste (che francamente non ho ritenuto degne di attenzione) non sarebbero necessarie se quanto rappresentato sul palco corrispondesse effettivamente alla Salome che tutti conoscono.

In conclusione, una edizione non particolarmente memorabile, o per meglio dire con ottimi interpreti ma una regia da dimenticare.

 

Tiziano Virgili
La recensione si riferisce alla rappresentazione di Domenica 10 Marzo
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Tiziano Virgili

REVIEWER

Physicist, professor at Salerno’s University. Opera fan for more than fifty years, with special interest for Russian, Czech, and in general less performed operas. Strongly believes that Great Art doesn’t need updates, and that operas work perfectly just as they were originally conceived.

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