La Traviata
Dal 21 Luglio al 9 Agosto, il Teatro dell’Opera di Roma presenta La Traviata di Giuseppe Verdi, direttore Paolo Arrivabene, regia di Lorenzo Mariani, con:
Violetta Valery (Soprano) Francesca Dotto; Alfredo Germont (Tenore) Giovanni Sala; Giorgio Germont (Baritono) Christopher Maltman; Flora Bervoix (Mezzosoprano) Ekaterine Buachidze; Annina (Soprano) Mariam Suleiman; Il barone Douphol (Baritono) Arturo Espinosa; Il marchese d’Obigny (Basso) Mattia Rossi; Dottor Grenvil (Basso) Viktor Schevchenko; Gastone (Tenore) Nicola Straniero; Giuseppe (Tenore) Michael Alfonsi; un domestico (Basso) Daniele Massimi; un commissionario (Basso) Fabio Tinalli
Musica: 4,5
Regia: 2,5
LA TRAVIATA
La stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma si svolge tradizionalmente presso il suggestivo sito delle antiche terme di Caracalla. Un evento di questo tipo, dalla connotazione decisamente “popolare”, richiede e giustifica un titolo di grande attrattiva e che non ha bisogno di presentazioni: La Traviata. Il numeroso pubblico, del resto, si presentava largamente eterogeneo e costituito per lo più da turisti, come si poteva dedurre facilmente dall’atteggiamento poco consono all’occasione (molti di loro, ad esempio, hanno speso buona parte del tempo ad osservare il proprio cellulare!). Un’altra caratteristica degli eventi all’aperto è data ormai dalla presenza di impianti di amplificazione, che se da una parte consentono un migliore ascolto di sfumature che verrebbero altrimenti coperte dai “rumori di fondo” (che includono purtroppo anche quelli prodotti dal pubblico stesso), dall’altra tendono a distorcere e ad appiattire la reale resa sonora degli interpreti. In questo contesto non è dunque agevole valutare correttamente la prestazione di cantanti e orchestra, cosa che comunque proveremo a fare sulla base di quando effettivamente udito.
Possiamo anzitutto dire che la Violetta di Francesca Dotto, se pure non tra le più grandi che si ricordino, è risultata ottima da tutti i punti di vista. A suo agio negli insidiosi vocalizzi del primo atto, il soprano riesce a rendere perfettamente il cambiamento interiore del suo personaggio sino all’“Addio, del passato bei sogni ridenti”, accolto con grande calore dal pubblico. Dotata di voce potente e agile al contempo, la Dotto è sembrata dunque interprete ideale per un ruolo più che impegnativo.
Adeguato anche se dalla voce forse troppo leggera il giovane tenore Giovanni Sala, che ha presentato un Alfredo appassionato e intenso. La sua romanza “Dei miei bollenti spiriti” è risultata ben eseguita, come del resto i suoi molteplici interventi.
Ottimo anche il Giorgio Germont di Christopher Maltman, baritono dalla voce calda e potente. Il suo “Di Provenza il mar, il suol” ha raccolto un’autentica ovazione anche da parte del pubblico di non appassionati melomani.
Senz’altro adeguati i numerosi comprimari, molti dei quali provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, così come l’ottimo coro guidato da Ciro Visco.
Piuttosto piatta anche se corretta è risultata invece la direzione di Paolo Arrivabeni, che avevamo d’altra parte pienamente apprezzato nella Tosca del 2021, penalizzata forse anche dalla presenza del sistema di amplificazione. Già dal preludio l’esecuzione sembra infatti ordinaria e monocorde, col celebre tema esposto in modo piuttosto inespressivo. Spesso poi il classico accompagnamento verdiano in ¾ è risultato troppo accentuato, evidenziando così il classico “Zum-Pa-Pa”, anche qui forse effetto di una non ottimale amplificazione.
Venendo ora alla regia, dobbiamo anzitutto osservare come questa produzione in realtà sia la ripresa di un’edizione del 2018 ad opera dello stesso regista Michele Mariani, il quale si prende la libertà (o per meglio dire l’arbitrio) di trasporre la vicenda negli anni ’50 del XX secolo. Il richiamo esplicito è al cinema di Federico Fellini, in particolare a titoli come “La dolce vita”. Violetta diventa così una star continuamente circondata da paparazzi (un’idea decisamente poco originale), mentre sulla scena (curata da Alessandro Camera) compaiono elementi che sembrano tratti direttamente dal film, inclusa una lambretta ed un pizzardone (il classico vigile romano). Immancabile è la presenza di una impalcatura stile “lavori in corso”, sulla quale si arrampicano via via diversi figuranti. Insomma, uno spettacolo molto probabilmente pensato appositamente per i turisti in visita a Roma, che ritrovano così atmosfere evocative del loro soggiorno. Cosa possa avere a che fare tutto ciò con l’opera di Verdi, notoriamente ambientata a Parigi e dintorni, non ci è dato capire, né quale nesso ci possa essere con il celebre regista, il quale ha oltretutto dichiarato di essere assolutamente incompetente in campo operistico! Il risultato ovviamente è la inevitabile produzione di incongruenze e di anacronismi ai quali forse il pubblico è ormai abituato (o più precisamente assuefatto), ma che non mancano di creare perplessità e a tratti fastidio.
Per fortuna i momenti più “intimi” dell’opera non sono stati disturbati dalla presenza di mimi o elementi estranei, pur tuttavia con un paio di eccezioni notevoli: il preludio del terzo atto e il finale dell’opera. In entrambe le occasioni un esercito di paparazzi scatena i propri “flash” verso la povera Violetta, una trovata a nostro avviso decisamente infelice, banale e fuori luogo. Il peggio però è stato realizzato nelle scene d’insieme, tra balli in stile “rock ‘n roll” (!), zingarelle che diventano delle svestite modelle che si agitano in pose poco eleganti (per usare un eufemismo), toreri in giacca di pelle e via dicendo. Insomma, le coreografie e i costumi in sé molto curati (opera rispettivamente di Silvia Aymonino e Luciano Cannito oltre che del regista stesso), risultavano inevitabilmente fuori luogo, tempo e contesto.
In conclusione, uno spettacolo pensato esplicitamente per un pubblico di turisti, che non ha mancato di centrare il suo obiettivo come hanno dimostrato i calorosissimi applausi finali.