LES CONTES D’HOFFMANN
Opéra-fantastique in un prologo, tre atti e un epilogo. Libretto di Jules Barbier, dal dramma omonimo di Jules Barbier e di Michel Carrè e da E.T.A. Hoffmann.
Milano, Teatro alla Scala 14.3.2023
Musica di JACQUES OFFENBACH; Direttore: Frédéric Chaslin; Regia: Davide Livermore; Scene: Giò Forma; Ombre: Controluce Teatro d’Ombre; Costumi: Gianluca Falaschi; Luci: Antonio Castro
Olympia Federica Guida; Giulietta Francesca Di Sauro; Antonia Eleonora Buratto; Stella Greta Doveri; Hoffmann Vittorio Grigolo; Lindorf/Coppélius/Miracle/Dapertutto Luca Pisaroni; Nicklausse/La Muse Marina Viotti; Hermann/Schlémil Hugo Laporte; Andrés/Cochenille/Frantz/Pitichinaccio François Piolino; Luther/Crespel Alfonso Antoniozzi; Spalanzani Yann Beuron; Nathanaël Néstor Galván
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Music: 4*
Staging: 2*
Les Contes d’Hoffmann
Un’occasione mancata quest’edizione di Les contes d’Hoffmann. Innanzitutto la scelta editoriale proposta: un misto tra l’edizione Oeser e quella Choudens, in pratica una versione decisamente vecchia. La Scala, in una nota, afferma che il direttore d’orchestra Frédéric Chaslin ha diretto Les contes d’Hoffmann più di 500 volte. Non ho ascoltato le recite precedenti. Sicuramente quelle in scena alla Scala sono state deludenti. L’esecuzione era piuttosto approssimativa priva della sottigliezza e della trasparenza che avrebbero potuto dare vita agli incantesimi musicali di Offenbach. Chaslin conferma, purtroppo, i propri limiti di concertatore già evidenziati, e proprio alla Scala, in una recente Gioconda. Sonorità sempre eccessive, con tendenza a coprire le voci.
Mancanza di quell’atmosfera spumeggiante, tipica di Offenbach, nei momenti di levità e di allegria ma anche incapacità di colorare adeguatamente i momenti drammatici che vengono risolti (si fa per dire…) con una noiosa monotonia e una sonorità a volte persino fastidiosa.
La regia di David Livermore poteva essere apprezzata da chi conosceva già, e bene, l’opera. Non mancano trovate interessanti ma ha voluto strafare, voleva dimostrare di saperne più di tutti e se alcune trovate sono sicuramente appropriate ad evidenziare il carattere fantastico dell’opera, altre sono inutili complicazioni, anche un po’ cervellotiche, onestamente.
Le cose vanno decisamente meglio dal lato delle voci. Vittorio Grigolo, innanzitutto, un protagonista decisamente bravo in un ruolo molto impegnativo. A suo agio sia nella spensieratezza della canzone di Kleinzach sia nei momenti più drammatici come il finale dell’atto di Antonia. E poi una voce ben impostata, bene emessa, con acuti timbrati e affascinanti. Bravissimo.
Molto brava, nel ruolo di Antonia, Eleonora Buratto che porta avanti, insieme a pochi, pochissimi, altri, la tradizione della scuola di canto italiana. Voce appoggiata sul fiato ed emessa senza indecisioni a tutte le altezze e a tutte le intensità. Pianissimi sempre timbrati e acuti scintillanti uniti ad un timbro caldo, pastoso, morbido. Una delizia.
Federica Guida affrontava la parte di Olympia. Brava anch’essa pur con qualche difficoltà nell’estremo acuto mentre Francesca Di Sauro, Giulietta e Voce, deve risolvere qualche problemino nel registro acuto.
Marina Viotti nel duplice ruolo di Nicklausse e della Musa ha sfoggiato una varietà di accenti e di colori davvero stupefacenti. Voce magari non bellissima ma governata da una tecnica solida una sensibilità non comune.
Luca Pisaroni, subentrato ad un rinunciatario Abdrazakov nella parte dei quattro malvagi, è sicuramente un artista di primo piano con una voce ben emessa e un’ottima tecnica ma con qualche problema negli estremi acuti, specialmente nell’aria “Scintille, diamant”.
Nei panni dei quattro servi François Piolini, che non canta: chiacchiera. E questo è quanto.
Alfonso Antoniozzi quale Luther e Crespel dimostra che si può essere grandi artisti anche impersonando ruoli minori. Canta, balla e recita in maniera incredibile. Come d’altronde ha sempre fatto.
Il coro della Scala si conferma come uno dei migliori al mondo, se non il migliore in assoluto. Una garanzia totale.